Da ormai quasi 100 anni è nella bocca di tutti i politici d’Italia, qualsiasi sia il loro orientamento politico, il mantra “bisogna far ripartire il Sud”, dai più audaci abbinato a “solo se riparte il Sud riparte anche il Nord”.
Lo stato fallimentare di molti servizi essenziali nel Meridione è evidente: le infrastrutture sono quasi sempre di qualità infima, l’istruzione latita, la sanità deve esportare malati al Nord per sopravvivere e, nonostante costi della vita minori, spesso i locali conti pubblici viaggiano sull’orlo del default.
Non che il Nord sia perfetto, ovviamente, ma è chiaro come di media si stia meglio: la povertà è minore, la disoccupazione anche, le infrastrutture esistono, è possibile viaggiare tra le principali città in tempi ragionevoli, sanità e istruzione sono a livelli europei e importano volentieri lavoratori dal Meridione, dando loro opportunità non da poco.
La strada dell’unità ci sta in molti casi portando ad un adeguamento verso il basso: molte professioni sono più redditizie all’estero che qui, sia al Nord che al Sud, grazie anche ad un centralismo salariale deleterio.
Ma qual è la principale differenza tra Nord e Sud? Il peso dello Stato!

Nel Nord, infatti, il peso della spesa pubblica sul PIL viaggia dal 25% al 40%. Al Sud? Molto peggio! La normalità è andare oltre al 50%, giungendo oltre il 60% in regioni come la Calabria, come vediamo in questa grafica dell’Istituto Liberale.
Verrebbe quindi da chiedersi: esistono in Europa modelli che il Sud può guardare per liberarsi dalla propria condizione di suddito della spesa statale?
Ebbene, sì! Circa trent’anni fa vari Stati abbandonarono la sudditanza sovietica per divenire Paesi liberi e dovettero trovare la propria strada: questa è la parola magica: responsabilità, queste nazioni hanno dovuto eleggere leader, creare una classe dirigente e sviluppare un modello funzionante, mentre il Meridione attende ancora che qualcuno, che sia lo Stato, l’Europa o lo Svimez, arrivi con la soluzione magica per renderlo uguale al Nord.
Non tutti l’hanno fatto bene, conosciamo bene i problemi dell’oligarchia in Stati come la Russia e l’Ucraina ma al contempo abbiamo anche ottimi esempi come la Cechia e l’Estonia che, partendo da povertà, arretratezza e autoritarismo hanno sviluppato democrazie prospere e ricche.
Credo che l’esempio migliore per il Sud possa essere quello della Repubblica Ceca: molte persone hanno ancora in mente la “Cecoslovacchia” povera, dove si gira con una vecchia Lada e dove si può andare a donne nemmeno pagando ma solamente portando doni pregiati come le banane o le calze di lino ma si sbagliano di grosso: chi vive a Praga, oggi, gode di una buona qualità della vita, di una sanità di qualità, di una democrazia più in salute di quella italiana (almeno secondo il Democracy Index) e di infrastrutture decenti, oltre a tassi di disoccupazione veramente risibili, con un settore pubblico tra i più leggeri dell’intera Unione europea.
Fa quasi sorridere pensare che un Paese uscito dal comunismo possa in trent’anni sorpassare le regioni più povere di un paese parte del G7 ma ricordiamoci sempre: i cechi hanno preso in mano le redini del proprio destino, i meridionali no e attendono ancora che qualcuno li salvi dal sistema che i predecessori di questo qualcuno ha creato per convenienza elettorale.
E la volontà è la chiave di ogni cambiamento, piccolo o grande che sia. Servono poi le persone: durante la rivoluzione di Velluto vi furono quelle giuste al posto giusto, dal grande Havel che poteva vantare un forte ruolo morale come leader della dissidenza a Klaus, in grado di capire la necessità della libertà economica per far ripartire il Paese, figure politicamente in conflitto ma, ad ogni buon conto, storicamente complementare nel dare alla Repubblica Ceca l’impronta che ha tutt’oggi.
Soleva dire Don Sturzo che “Nord e Sud sono due termini irriducibili e inconciliabili. […] Noi del Meridione possiamo amministrarci da noi, da noi designare il nostro indirizzo finanziario, distribuire i nostri tributi, assumere la responsabilità delle nostre opere, trovare l’iniziativa dei rimedi ai nostri mali … non siamo pupilli, non abbiamo bisogno della tutela interessata dei fratelli del Nord … seguiremo ognuno la nostra via economica, amministrativa e morale nell’esplicazione della nostra vita”.
Sono ovviamente d’accordo con il sacerdote ma penso che, in questo caso, l’evidenza sia ancor più forte della teoria: chi prende in mano la gestione della propria comunità può ottenere un miglioramento, chi è suddito non lo otterrà mai e qualsiasi misura del “sovrano” servirà a renderlo ancor più suddito.