C’è qualcosa di inquietante nell’atteggiamento assunto dall’Italia e, in fondo, dalla stessa Unione europea di fronte alla repressione in atto a Hong Kong. Unita alla Cina comunista solo nel 1997 sulla base di un’intesa che avrebbe dovuto prevedere “una Cina e due sistemi”, la città sta opponendosi a quella che è una vera e propria normalizzazione liberticida. Gli abitanti dell’ex colonia britannica stanno facendo il possibile per difendere le loro libertà e la possibilità di governarsi da sé, ma non trovano alcun sostegno da parte italiana.
Le posizioni filo-cinesi del ministro Luigi Di Maio sono ben note e d’altra parte l’intero governo – lo si è visto durante queste settimane di epidemia – ha spesso indicato in Pechino un di modello: quale sistema ultra-centralizzato e, a loro dire, di grande efficienza. Nemmeno le centinaia di arresti di queste ore hanno spinto l’Italia a manifestare la contrarietà.
Questa simpatia nei riguardi del regime comunista non soltanto è espressione di una Realpolitik piuttosto miope (dato che ci allontana dagli gli Usa, che restano la potenza egemone a livello globale), ma soprattutto tradisce ogni principio morale. Hong Kong è stata ed è ancora una città modello da vari punti di vista: una delle punti più avanzate della civiltà occidentale. Tacere dinanzi alla repressione è quindi inqualificabile.
Il comportamento italiano, in fondo, non è nemmeno isolato. La stessa Unione europea è stata assai lenta nello schierarsi dalla parte della cittadinanza hongkonghese e le ragioni sono simili a quelle che motivano l’ignavia di Di Maio. A Bruxelles si considera la Cina un partner importante, ma oltre a ciò c’è la persuasione che, in fondo, tutto quello che sta avvenendo sia da considerarsi un problema “interno”, su cui non si è legittimati a intervenire.
L’atteggiamento dell’Italia e dell’Unione lasciano intendere una cosa: che ormai, purtroppo, per certi aspetti non siamo così diversi dai cinesi. Quando nel 2017 la Spagna mandò la Guardia Civil a impedire un referendum consultivo organizzato dalla Catalogna, nessuno in Europa mosse un dito. La violenza si dispiegò senza che vi fossero contestazioni. E se oggi il partito comunista cinese fa lo stesso per riaffermare il suo dominio coloniale su Hong Kong, con quale legittimità gli europei potrebbero criticare tutto ciò?
Abbandonata dai governanti europei (timorosi di dover presto fare i conti con spinte centrifughe di ogni tipo: dalla Catalogna alla Corsica, al Veneto), Hong Kong dovrebbe però almeno trovare la solidarietà dei cittadini europei, che avrebbero il dovere di reagire con sdegno.
Se i politici europei sono spesso simili – per il disprezzo verso le nostre libertà – a quelli che governano con un pugno di ferro l’immenso continente cinese, sarebbe bene che la nostra società civile imparasse qualcosa dalla gente di Hong Kong, che ha appreso quanto siano importanti le libertà individuali e ora non vuole rinunciarvi. In queste ore, si ha così la sensazione che lo spirito autentico di quella che fu la civiltà europea si ritrovi più nelle strade della città cinese che non nelle nostre, e ancor meno nei palazzi del potere italiano ed europeo.
di Carlo Lottieri, Università di Verona