Potrei farvi qui e oggi un discorso storico sulla Lombardia, sul federalismo, sulle occasioni sprecate, sul nulla che si accumula al niente mescolato col “nada de nada” da 30 anni di Lega a 169 anni di Italia.
Potrei raccontarvi di come la Lega – stanziatasi stabilmente a Roma fin da subito – sia diventata da “cane da guardia dei soldi del Nord” il partito di Roma radicato nel Nord. Potrei spiegarvi anche la ragioni di questa metamorfosi, e come il neverendum di mille giorni fa sia stato solo un colpo di coda atto a sublimare un quarto di secolo nel quale la Lega ha consumato ogni tipo di discorso su federalismo, autonomismo, indipendentismo possibile. Fino a rendere tutti questi temi vetusti, fuori moda e politicamente inutilizzabili.
Potrei ricordarvi che “lombardo” era il termine riservato grosso modo a tutti gli abitanti dell’area fra Firenze e le Alpi nel corso del Medioevo. E che questo termine voleva dire fiducia assoluta nel fatto che il lombardo avrebbe mantenuto i suoi impegni finanziari. La Bundesbank chiamava Lombard rate il tasso di interesse a breve che offriva ai suoi migliori creditori, mentre il termine in generale si riferisce al tasso che una banca centrale applica per prestiti garantiti a breve termine. Quindi le nostre aree non sono mai state note per la folle finanza, né per il piagnisteo con il quale il leader di Volturara Appula continua a piatire soldi all’Europa meno stracciona. Forza Olanda, allora; in ogni caso, un Rutte vi seppellirà.
Potrei cercare di renderci orgogliosi della Lombardia. Se l’antichità può essere racchiusa simbolicamente fra Atene e Roma, la valle del Po, con le sue diramazioni lotaringe e toscane, rappresenta il centro nevralgico della modernità. La Lombardia non è solo un’area “occidentale”, ma è una delle regioni che rappresentano una vera e propria condizione di pensabilità dell’Occidente. Il suo depauperamento odierno è dovuto a un’unica causa: l’esser parte di un paese ormai decotto. Il guaio è che questo viene passivamente accettato come un destino ineluttabile da tutti i nostri concittadini.
La Lombardia è da 8 secoli all’avanguardia: è solo l’Italia che la sta trascinando ad essere un semplice Nord infelice di un Terzo mondo indifferenziato.
Il lungo matrimonio, davvero infelice, fra la Lombardia e l’Italia nasce alla fine del Settecento. Da allora la nostra regione diventa essenzialmente l’avanguardia, certo un po’ meno povera e più “fortunata”, di un paese (ideale, reale, convenzionale) che arriva fino a dove nei momenti di cielo terso si vede il lungomare di Tripoli. L’arrivo di Napoleone – che a Sant’Elena disse “io mi sento toscano o italiano piuttosto che corso” – fu l’innesco di una serie di mutamenti che fecero lentamente slittare le nostre terre da un’appartenenza da tutti riconosciuta a quella che il mio maestro Gianfranco Miglio chiamava l’Europa fredda, al calore dei problemi mediterranei.
Potrei anche parlarvi di un Risorgimento nel quale la Lombardia trova il suo più autentico cantore in Carlo Cattaneo. Da allora ogni lombardo che proverà qualcosa per la sua terra, “naturalmente e civilmente dalle altre distinte, a cui per singolari circostanze rimase circoscritto il nome già sì vasto e variabile di Lombardìa”, dovrà fare i conti con lui. E potrei parlarvi della sua sconfitta, del suo rifugiarsi in Ticino. Dal Cantone lombardo potremmo trarre grandi lezioni. Giacché esso rappresenta una Lombardia de-italianizzata e quindi ancora in grado di vivere civilmente.
I livelli di civiltà economico e sociale, culturale e politico, si raggiungono solo attraverso il libero mercato, la creatività e le fatiche degli uomini, non per mezzo di prebende pubbliche, redditi di cittadinanza e regalie del potere.
La Lombardia forse avrebbe potuto riscrivere il destino delle aree italiche, ma fin da principio la conquista regia significò politiche vessatorie nei confronti delle varie regioni. La Lombardia si è sempre trovata in una posizione di anello economicamente più forte di una catena debolissima.
La Lombardia è stata trascinata in una storia che è la parabola europea dell’ordine politico: assolutismo, nazionalizzazione delle istituzioni e trionfo di logiche autoritarie, tragedia del totalitarismo e, alla fine, il radicarsi di welfare state e politiche assistenziali. I lombardi sono solo il Bancomat di un paese fallito. L’indipendenza significa solo una cosa: cambieremo il pin e non lo riveleremo a nessuno.
Dicevo che potrei parlarvi di tutte queste cose, del federalismo mancato, del centralismo folle di questo paese che ha imposto un lockdown generalizzato dalla Alpi alla Sicilia per un problema che era tutto qui. E potrei spiegarvi anche la logica folle di tutto ciò.
Vi dico solo che se con la mano pubblica si risolvessero i problemi dello sviluppo economico il Mezzogiorno d’Italia sarebbe una delle zone più prospere del mondo e invece, nel corso degli ultimi trent’anni, ossia dalla fine del comunismo ad oggi, si è vista superare in termini di reddito pro capite da tutti i paesi europei che fuoriuscivano dal buco nero del comunismo.
E invece vi dirò che non poteva essere altrimenti. Cioè tirannia fiscale e burocratico-amministrativa, governi più o meno dispotici, centralizzazione esasperata sono stati il sale dell’Italia unita. Il terrore da parte dei politici verso ogni riforma autonomista, federale, è giusto e sacrosanto. Qualunque riforma istituzionale metterebbe davanti agli occhi di tutti chi la borsa la riempie e chi la svuota, chi vive del proprio lavoro e chi di sussidi. I lombardi (vecchi e nuovi) hanno messo la testa sotto la sabbia, hanno continuato a lavorare e produrre, ma ormai non è più possibile. Fondata sulla totale sfiducia verso le diverse comunità storiche, l’Italia teme e contrasta le aspirazioni all’autogoverno, un tempo del Mezzogiorno e oggi delle regioni del Nord. E fa bene. Il fascismo è il cuore dell’intera vicenda “nazionale”, il baricentro di un’unificazione che è risultata impossibile da coordinare con gli strumenti della libertà. La proposta federale fu sconfitta nel corso del Risorgimento, annichilita durante il fascismo, e oggi, dopo un quarto di secolo di discussioni, è ormai scomparsa dall’agenda politica. Perché parlare di federalismo in Italia è come raccontare a un cieco i colori dell’arcobaleno. Il paese sarebbe federale per sua stessa natura, ma il federalismo di fatto lo distruggerebbe come paese. A questo dilemma lungo 170 anni si è risposto con la centralizzazione più sfrenata della storia umana.
E allora, oggi che siamo qui a ricordare 1000 giorni di nulla, almeno non stupiamoci di questo niente. I lombardi sono costretti dal fisco a riscattare prima la propria terra, poi i propri corpi e infine le loro imprese. Paghiamo una taglia ulteriore rispetto a quella pro-capite che colpisce ogni malcapitato per il fatto di essere all’interno di un inferno fiscale di nome Italia. Questa tassa occulta è di circa il 18% del PIL lombardo. Qualunque autonomia necessariamente la metterebbe a nudo e al centro della discussione politica. La Lombardia ha una spesa pubblica liberista (34%) e una tassazione socialista (oltre il 60%). Finanziamo a piè di lista il socialismo degli altri senza poterci neanche permettere di essere socialisti. Per quanto riguarda la “tempra morale” di una popolazione sono molto preoccupato per i miei concittadini. Mi auguro solo che Rousseau avesse torto quando scriveva “alla lunga i popoli sono ciò che il governo li fa essere”. Altrimenti i lombardi, ormai avvezzi da un paio di generazioni a essere gli schiavi fiscali del resto del paese, finirebbero con il coltivare un autentico animo servile.