Allungare il congedo parentale a tre anni è la misura di cui questo desolato paese ha disperato bisogno, immediatamente, tutto il resto venga dopo e, se non ne restano risorse, pazienza.
Gli italiani si stanno estinguendo, senza reazione: ogni tre decessi ormai si contano meno di due nati con una tendenza che sta accelerando superando le più pessimistiche previsioni. L’Italia non morirà per la troppa burocrazia, nemmeno per la vessazione fiscale o per il peso insostenibile delle pensioni: sta già morendo perché nella sua società la maternità è diventata un tabù.
L’unico modo di rimuoverlo è riportare la maternità alla sua dimensione di gioia, la più grande della vita, di restituirle il ruolo centrale che le spetta nelle aspirazioni, ambizioni, programmi di ogni giovane, futura mamma o papà.
Questa è la vera ripartenza di cui abbiamo bisogno e la si ottiene soltanto garantendo ai genitori di poter stare con i loro bambini, di accudirli tutto il tempo della prima infanzia senza soffrire preoccupazioni economiche, senza temere la perdita del proprio posto di lavoro, soprattutto, ponendoli al centro dell’attenzione dell’intera società, facendo sentire loro addosso l’ammirazione e la considerazione che una cultura decadente oggi nega loro ed a sé stessa.
La presenza dei bambini deve tornare a rallegrare le case, le piazze, le città, la vita intera di un popolo che oggi sta morendo prima di tutto di tristezza, di egoismo senile, di mancanza di slancio verso il futuro che soltanto i bambini sanno far deflagare.
Ogni mamma, ogni papà, nella serenità di un congedo parentale allungato diventerà uno “spot” a favore dei più giovani che tenderanno ad emularli subendone il naturale fascino e la nostra convivenza tornerà ad essere illuminata dalla bellezza di quella condizione che dobbiamo far ritornare un momento di grazia, anzi, il momento di grazia per eccellenza nelle vite nostre e di chi ci sta attorno. A questo sono funzionali i bambini, a dare pienezza alla vita, non a pagare le pensioni di una gerontocrazia egocentrica ed irresponsabile.
Questo è quanto ci è dato di sperimentare nei paesi davvero civili, quelli, per capirci, che non sono usciti “meglio” dalla recente trattativa di Bruxelles perché sono messi peggio. Chi scrive ne ha la costante riprova nella Repubblica Ceca che frequenta per lavoro, un paese dominato dai bambini e dai giovani genitori, non a caso nel quale i nuovi nati superano i morti, con uno stato che garantisce il congedo parentale fino a tre anni a scelta per mamma o papà, con la corresponsione di un’indennità di circa diecimila euro e la conservazione del posto di lavoro.
Va detto con chiarezza che ogni altra misura che si sente invocare in Italia, anche in questi giorni, sarà insufficiente se non inutile. Gli spartani asili nido, le scuole materne, gli assegni famigliari, spesso invocati per alimentare nuovi “posti di lavoro” o flussi di reddito verso categorie di servizi, sono solo palliativi inefficaci perché non colgono il segno, il vero ed unico punto: la mamma o il papà devono stare con il bambino per tutta la prima infanzia, almeno per tre anni per ciascun bambino.
Paradossalmente, questa misura è anche quella più efficiente sotto l’aspetto economico, evita la necessità di realizzare strutture, mantenere schiere di educatori, organizzare trasporti. O forse è osteggiata proprio per questo?
Ammirati dall’esperienza vissuta in Cechia e di fronte alla vergognosa inerzia che si vive presso di noi, nella nostra azienda abbiamo deciso unilateralmente di offrire ai nostri dipendenti che abbiano o adottino un figlio la possibilità di prolungare il congedo parentale almeno di un ulteriore anno. Per introdurre questo beneficio abbiamo incontrato infinite difficoltà di carattere previdenziale, normativo, organizzativo: nulla nel nostro paese è propizio ai bambini, è un paese per vecchi. Con tenacia, abbiamo alla fine risolto il garbuglio con un escamotage: la trasformazione temporanea in un contratto part-time di un anno retribuito al 30% senza l’obbligo di presenza al lavoro. Ovviamente, al genitore non viene richiesta né la presenza né altra prestazione: fino a dodici mesi aggiuntivi potrà rimanere a casa, dimenticandosi del lavoro che ritroverà a tempo pieno alla fine del congedo prolungato.
Valuteremo nei prossimi mesi l’apprezzamento di questa misura, consapevoli tuttavia che anche i nostri collaboratori vivono in un paese ostile alla loro condizione.
In un momento in cui, sembrerebbe, alla spesa pubblica niente sarà più precluso grazie alla “generosità” dei debiti contratti ed al fiume di risorse promesso in arrivo, si parrà senza scuse la virtute o meno non solo della nostra classe politica e sindacale, Confindustria e sindacati per primi, ma dell’intera società italiana, e di ciascuno di noi nella propria responsabilità individuale.
Per estendere il congedo parentale a tre anni occorre uno sforzo deciso e risoluto, e la destinazione di quelle risorse finanziarie e contrattuali necessarie ad aiutare le molte piccole imprese che maggiormente sarebbero nella necessità di far fronte ad una assenza prolungata. Si tratta semplicemente di fare quello che già fanno gli altri paesi della UE.
Riusciremo finalmente a compiere questo salvifico passo anteponendo la più drammatica priorità all’orgia di spese pubbliche clientelari che già si invocano ed all’immorale assalto alla diligenza della cassa di denari presi a prestito?
O siamo regrediti a tal punto che anche per provare ad essere più felici dovremo farcelo imporre dall’Europa?