Accogliere l’idea di uomo e di natura che ha fondato la civiltà
Contributo al dibattito precongressuale di Nuova Costituente
di Dario Caroniti
La crisi che sta attraversando l’Italia ha una natura etica e culturale, prima ancora che economica. Lo spopolamento della penisola ha già raggiunto livelli che richiamano alla memoria la fine dell’Impero romano ed è l’espressione finale di una cultura anti umana, che è prevalsa, prima nelle accademie, e poi nell’intera società. Pensare di affrontare gli effetti della crisi demografica, o anche le difficili congiunture economiche che hanno già causato oltre 10 anni di recessione, attraverso interventi dello stato equivale a pensare che si possa risolvere la criminalità affidandosi alla mafia. La perdita del senso della vita, dell’identità, del significato della comunità, del legame col territorio e il conseguente egoismo parossistico e lo stesso pessimismo verso il futuro, questi sono tutti effetti delle politiche stataliste che in Italia, fin dall’unità, hanno perseguito l’obiettivo di trasformare gli italiani secondo un modello ideologico, che è però totalmente fallito. Una propaganda sempre più oppressiva ha imposto una tesi secondo la quale l’identità e il senso di appartenenza sarebbero stati la fonte dell’oppressione in famiglia e nella società, e soltanto l’emancipazione da ogni legame affettivo e gerarchico avrebbe reso gli uomini e le donne liberi. Al contrario, l’avere distrutto ogni struttura sociale ha lasciato l’individuo solo rispetto allo stato, che è così giunto a livelli di oppressione che solo pochi anni fa sarebbero sembrati impossibili. Il governo nazionale, in questi ultimi due anni, ha imposto coprifuochi senza la guerra, ha chiuso le persone in casa, ha ordinato un trattamento sanitario obbligatorio di massa e, soprattutto, è riuscito a realizzare un controllo capillare dell’informazione, demonizzando ogni movimento e qualunque persona cercasse di opporsi alla informazione-propaganda. Tutto questo senza sollevare opposizione, se non molto marginale, dai partiti, dai sindacati o dagli accademici.
Il movimento politico Nuova Costituente si è costituito per opporsi a questo processo di decadenza, che non è inarrestabile. Noi crediamo che statalismo e ideologia non siano riusciti del tutto ad annichilire il legame tra le persone e il territorio. L’amore per la propria città, la sua storia e le sue tradizioni è il principio sul quale pensiamo di potere ricostituire la comunità politica. Se essa, come diceva Agostino d’Ippona, è “una moltitudine aggregata per via di consenso in un ordine giusto e un comune interesse”, è possibile riprendere la forma di una società attraverso il riconoscimento di legami affettivi, che consentano di realizzare tra più persone una intesa, basata su principi giusti e condivisi, che possano essere determinati solo mediante il riconoscimento di una storia comune e il comune amore per ciò che si ritiene giusto. Così si realizza un io noetico, un “noi” che prende il posto della massa informe.
Il fondamento della società politica è quindi la persona, intesa, come vuole la tradizione occidentale, come “sostanza individuale di natura razionale” (Boezio). Questo individuo razionale ha per sua natura dei diritti che, come ci insegna la Dichiarazione di indipendenza americana, ci sono stati dati dal nostro Creatore. L’ordine del creato e i diritti della persona sono quindi anteriori a ogni organizzazione politica. Il riconoscimento di Dio non è perciò una forma di clericalismo ma, al contrario, la difesa contro ogni tentativo di opprimere la libertà dell’individuo razionale con strutture ecclesiastiche, come le gerarchiche dei partiti stato, che hanno storicamente cercato di occupare lo spazio lasciato vuoto dalla fiducia nel Dio che ha creato l’uomo a Sua immagine e somiglianza.
L’organizzazione politica, qualunque essa sia, compreso lo stato, è una invenzione dell’individuo razionale, costituita per difendere i suoi diritti, che sono quindi ad essa anteriori. Lo stato non può limitare o, peggio, negare i diritti della persona. Lo ha però fatto negli ultimi due secoli, esprimendosi in quelle forme totalizzanti, che sembravano finite con la caduta del muro di Berlino, ma appaiono riemergere con il massimo vigore. In verità, lo stato moderno, improntato sull’unità nazionale, non riconosce limiti alla sua autorità, facendo coincidere il bene comune con il bene pubblico. Anche il tentativo di limitarlo, tramite una costituzione rigida che preveda diritti inalienabili e definisca i poteri stessi dello stato, è comunque destinata ad essere travolto dagli eventi, a lasciare spazi alle eccezioni, determinate dalla guerra, dal terrorismo, dalla criminalità, dall’immigrazione o dalle epidemie.
Questa invasione dei diritti della persona e l’oppressione dell’individuo razionale sono giustificati in virtù dell’interesse nazionale, della sanità pubblica, dello spirito di solidarietà o anche del progresso. In verità, l’azione dello stato è sempre riconducibile a degli interessi particolari, quelli degli “abitanti dello stato”. Questi non sono soltanto la classe politica al governo, ma comprendono l’apparto burocratico e, soprattutto chi, economicamente o finanziariamente, riesce a orientare le scelte pubbliche in favore dei propri interessi particolari.
È per questo che le politiche pubbliche, sia nel regno d’Italia che durante la repubblica, hanno sistematicamente fallito i propri obiettivi, almeno quelli dichiarati, per favorire sistematicamente le medesime famiglie e gli stessi gruppi: la vera continuità tra stato monarchico liberale, stato fascista e stato repubblicano può essere individuata nei favori ai medesimi gruppi industriali e finanziari, che più che gruppi privati dovrebbero essere considerati una sorta di soci dello stato. Le stesse politiche per il Mezzogiorno hanno accresciuto il capitale della Fiat e della Pirelli, giusto per fare degli esempi concreti, più di quanto non abbiano fatto per la crescita economica del Sud Italia e della Sicilia, che rimangono tra le aree economicamente più depresse d’Europa, non malgrado le politiche pubbliche, ma esattamente a causa di esse.
Ormai da decenni, per di più, i trasferimenti a favore del Mezzogiorno sono diventati sempre più astratti, programmati ma mai spesi. Le risorse dell’Unione europea, così come la gran parte della programmazione di favore per le aree economicamente svantaggiate rimane non utilizzata. L’unica misura che continua ad essere operativa è il reddito di cittadinanza, la pietra tombale sullo sviluppo: la peggiore vittima di queste politiche di welfare non è il soggetto al quale vengono sottratte le risorse fiscali, quanto il percettore ultimo dei fondi di assistenza, che viene a diventare schiavo economico e politico del sistema statale, privo di autonomia e quindi di libertà, senza dignità, destinato a considerarsi moralmente, piuttosto che economicamente, un rifiuto sociale.
Ripartire dalla centralità dell’individuo razionale significa quindi liberarlo dall’oppressione fiscale, dagli espropri sistematici alla sua proprietà privata, restituendogli il diritto di scegliere personalmente il modo in cui esercitare i doveri di responsabilità verso la sua comunità. L’attuale sistema fiscale incentiva la deresponsabilizzazione delle élite, che assolvono ogni loro onere sociale nel pagamento delle imposte, dimenticando il compito etico e morale che grava sul loro stesso patrimonio.
Non basta tuttavia diminuire la percentuale di imposizione fiscale. Bisogna primariamente diminuire le competenze dello stato. Tutti gli organismi burocratici di controllo partono dal presupposto che il privato sia il male e il pubblico il bene, mentre la realtà è l’opposto: anche statisticamente il livello di criminalità aumenta proporzionalmente all’aumento della spesa pubblica. Si deve perciò annullare progressivamente tutto l’apparato centralizzato dello stato, che subordina l’erogazione di fondi al rispetto di direttive nazionali che davvero poco hanno a che fare con gli interessi delle persone.
Ecco che ripartire dai territori significa trasformare lo stato nazionale in una unità federale, sul modello della Svizzera, laddove le aggregazioni tra le città siano libera espressione della volontà delle persone e dei consorzi politici locali. Per questo i poteri vanno riconsegnati agli individui razionali, tramite il ricorso sistematico a forme di democrazia diretta, e agli enti locali, evitando categoricamente che si possano ricreare a livello territoriale nuove forme di centralismo e di statalismo. Attualmente le regioni in Italia funzionano come enti decentrati dello stato e anche le diverse istanze federaliste, che si sono manifestate negli scorsi decenni in Italia, hanno manifestato una aspirazione nazionale, anche se localizzata, come se un nazionalismo del Nord o del Sud potesse sostituire utilmente il fallimento del nazionalismo italiano. Al contrario, il federalismo deve essere la negazione di ogni forma di centralismo, di statalismo, di repressione della personalità, di subordinazione dell’individuo razionale al cosiddetto bene pubblico.
Per vincere il declino è infine necessario accogliere l’idea di uomo e di natura che ha fondato la civiltà occidentale. Che Dio abbia creato l’uomo a sua immagine, e che lo abbia creato maschio e femmina è una evidenza che non si può negare se non al prezzo dell’uomo stesso, delle sue libertà e del diritto. Le teorie LGBTQ+ attaccano alla radice l’identità stessa della persona umana, annullando, insieme al genere, la sua essenza di individuo razionale. Se per natura io non sono né maschio né femmina, ma mi identifico con la scelta sessuale che di volta in volta preferisco, io non sono neppure uomo, perché potrei identificarmi con la specie o, peggio, la cosa, che provoca in quel momento la mia attrazione. Allo stesso modo non può essere messa in discussione la sacralità della vita. Se essa fosse un bene disponibile, del quale io per scelta autonoma possa privarmi, ne discenderebbe che io possa vendere in tutto o in parte il mio corpo, la mia libertà, i miei diritti, prima della vita stessa. Noi crediamo invece che i diritti siano inalienabili e non disponibili, che essi si siano anche storicamente affermati nella tradizione italiana e che le violazioni sistematiche alle quali la prassi statalista le ha sottoposte non abbia fatto morire l’amore per un ordine giusto, l’amore per il proprio territorio, l’orgoglio di essere.