Documento preelettorale
Fin dalla sua nascita, oltre due anni fa, Nuova Costituente si propone di essere il punto d’incontro degli indipendentisti di tutta la Repubblica italiana, quali che siano le loro posizioni in tema di libertà e interventismo, tasse e spesa pubblica, autonomia di iniziativa e welfare State. Quello che ci proponiamo è coalizzare le forze e le culture dell’autogoverno, indipendentemente dalla loro ispirazione ideologica e dai territori in cui operano.
Poiché abbiamo l’obiettivo di rafforzare le realtà locali e indebolire il potere centrale quanto più possibile (fino alla sua dissoluzione), siamo uniti nel volere che Roma tassi e regoli sempre meno, si ritragga dalla nostra vita e non pretenda di pianificare la nostra esistenza. Una volta affrancate dall’Italia, saranno poi le realtà locali (regioni e comuni) a decidere liberamente il loro assetto istituzionale, anche in merito al rapporto tra Stato e mercato, burocrazia pubblica e libertà individuale. Purtroppo, però, nessun soggetto politico ora sulla scena nazionale si muove in questa direzione e, quindi, nessuno merita il sostegno di Nuova Costituente.
Questo non esclude che la vittoria di una delle parti in competizione sia da preferirsi. Taluni tra i nostri dirigenti, militanti e simpatizzanti hanno questa convinzione, mentre altri preferiscono mantenersi equidistanti dai due blocchi e anche dagli altri soggetti minori.
Per questo motivo, in vista dell’appuntamento del 25 settembre 2022, non intendiamo fornire un’indicazione univoca da parte di Nuova Costituente. Alcuni di noi voteranno in un modo, alcuni in un altro e altri ancora, invece, si asterranno. Nella prospettiva di Nuova Costituente, infatti, il punto cruciale non è se e come votare ma, piuttosto, la necessità di continuare a costruire un’alternativa di sistema: rafforzando le vere liste civiche di quanti vogliono governare da sé la loro comunità; consolidando i movimenti indipendentisti e autonomisti che contestano l’unità nazionale e rivendicano il diritto all’autogoverno; dando più forza a una forza ancora embrionale come Nuova Costituente, che si propone di favorire, sostenere e coalizzare tutte queste spinte centrifughe.
Secondo la nostra analisi, con ogni probabilità, il voto del 25 settembre sarà irrilevante, dato che destra e sinistra non sono in grado affrontare il disastro in cui ci troviamo. Per di più, la sinistra governativa mantiene comunque un forte controllo sulla società (magistratura, economia, media, cultura) e quindi un’eventuale vittoria della destra costringerà per forza di cose quest’ultima a venire a patti con il cuore del regime: quel sistema di potere post-comunista e post-democristiano che politicamente trova la sua più compiuta espressione nel PD. Non bastasse questo, è facile attendersi – come già è successo cinque anni fa – che le manovre di Palazzo conducano dapprima a un accordo tra taluni partiti e, in seguito, ad altri assetti. All’elettore verrà consegnata una scheda che varrà un giorno soltanto, ma sarà presto superata dagli eventi.
Le forze politiche indipendentiste, che potrebbero cambiare il dibattito pubblico e in seguito anche la struttura istituzionale, sono oggi molto deboli; la rivoluzione dell’autogoverno e della concorrenza tra giurisdizioni non è all’orizzonte, dal momento che tutti i partiti sono similmente schierati a difesa di uno status quo davvero disperante per le popolazioni di riferimento. Perfino in vari gruppi che si oppongono alle vergognose politiche sanitarie degli ultimi due anni vi sono personaggi che appartengono a pieno titolo al Palazzo e non hanno alcuna intenzione di mettere in discussione il presente sistema di potere.
Non bastasse tutto ciò, bisogna fare i conti con un triplo sbarramento, che rende quasi impossibile l’emergere di un’alternativa.
In primo luogo, ogni nuova forza politica oggi non rappresentata in Parlamento deve far sottoscrivere le candidature dai cittadini (si tratta di decine di migliaia di firme), mentre sono esentati da tutto ciò i partiti tradizionali e anche quanti possono contare sul sostegno di uno spezzone dell’attuale classe politica. La questione delle firme è una barriera di non poco conto, dato che esige consistenti risorse economiche e un radicamento che molte forze politiche non hanno avuto il tempo di costruire.
In secondo luogo, chi intende veramente contestare la realtà attuale ha enormi difficoltà ad accedere all’informazione più potente, che è controllata direttamente (come nel caso della RAI) o indirettamente (come nel caso dei grandi gruppi privati) proprio dai partiti di regime. Entro un Paese che ha circa 60 milioni di abitanti, non c’è alcuna possibilità di far riconoscere la propria proposta politica se il sistema dell’informazione ti avversa, innanzitutto ignorandoti e poi anche denigrandoti, se per caso riesci a bucare il muro dell’indifferenza.
In terzo luogo, il sistema politico italiano è ermeticamente chiuso. I partiti che si sono appropriati delle istituzioni sono sempre molto attenti a evitare che movimenti nuovi abbiano la possibilità di farsi riconoscere. In particolare, il sistema elettorale vigente esige che una forza politica superi il limite del 3% a livello nazionale per entrare in Parlamento. Le eccezioni sono riservate soltanto ai valdostani e ai trentino-tirolesi, con un’evidente discriminazione di tutte le altre comunità. Per intenderci, se in Sardegna esistesse un partito indipendentista in grado di raccogliere (per assurdo) anche tutti i voti della popolazione dell’isola, esso non avrebbe alcun eletto. E quando un partito decide di coalizzarsi con un altro, il limite sale addirittura al 10%. Questo vuol dire che se in Sardegna, Veneto, Emilia-Romagna e Umbria vi fossero partiti indipendentisti – coalizzati in un’alleanza – in grado di ottenere in ogni regione il 50% più uno dei voti, anche in questo caso non otterrebbero alcun parlamentare.
I padroni del discorso politico conoscono bene i loro interessi e hanno delineato regole elettorali la cui principale funzione è tutelarli il più possibile di fronte a ogni ipotetica novità. Questo significa che un cambiamento difficilmente potrà aver luogo in maniera evolutiva e passo dopo passo: le cose muteranno quando vi sarà una forza che saprà farsi interprete della compiuta delegittimazione del sistema e acquisirà la capacità di superare ogni forma di ostacolo (raccolta firme, assenza di spazi mediatici, sbarramenti elettorali).
Abbiamo già visto qualcosa di simile con la Lega, prima, e con i Cinquestelle, poi, ma il problema è che quei partiti sono stati facilmente inglobati dal regime. Quello di cui ora c’è bisogno è una finestra di opportunità analoga ma che permetta di far davvero crollare, e in modo auspicabilmente irreversibile, quel muro che separa la società e la politica, i popoli e le istituzioni.
Nuova Costituente sta lavorando per far sì che lo tsunami che può far saltare il banco, se mai ci sarà, non trovi impreparati le realtà che vogliono restituire alle varie comunità territoriali il potere costituente.
Va anche tenuto presente che l’Italia è il grande malato di un’Europa che sta dirigendosi a passi forzati verso una struttura sempre più centralizzata e, in tal modo, sta creando ulteriori tensioni tra i vari popoli. Basti pensare alla politica monetaria della Bce, che sarà avversata dalle economie dei Paesi meno spendaccioni se non s’opporrà all’inflazione e non alzerà a sufficienza il tasso d’interesse ma, al tempo stesso, sarà avversata dai Paesi più indebitati (Italia, Francia, Grecia ecc.) se non terrà un costo del denaro artificiosamente basso, come ha fatto in tutti questi anni.
La crisi del centralismo italiano deve farci comprendere quanto sia pericolosa un’Europa che sta dirigendosi nella medesima cattiva direzione. In fondo, l’intera Italia – dalla Lombardia alla Sicilia – sta diventando sempre più il cuore di un immenso Sud continentale assistito dal resto dell’Unione e quindi condannato sulla via del declino.
Per questo motivo, la scelta di Nuova Costituente di non dare indicazioni di voto non significa essere indifferenti a quanto avviene in queste settimane, né trascurare l’esito delle prossime elezioni. Sappiamo che la crisi italiana è globale (poiché riguarda il debito, i redditi familiari, le prospettive civili, la delegittimazione delle classi dirigenti) e che un crollo è sempre possibile.
Dobbiamo allora lavorare alla costruzione di una rete di realtà civiche e indipendentiste che sia pronta a interpretare una svolta radicale quando quel momento arriverà.
Perché siamo convinti che arriverà.
Venezia, 13 settembre 2022