di Elena Vigliano
Il Governatore della Florida, l’italoamericano Ron de Santis, ha portato il bilancio a circa 22 miliardi di surplus. Ha ottenuto questo notevole risultato azzerando le tasse statali: pertanto in Florida i contribuenti sono tenuti al pagamento delle sole tasse federali
Inoltre, ha salvato l’economia dello Stato, evitando norme repressive in tema di pandemia, anzi, vietando l’utilizzo di strumenti paragonabili al nostro green pass.
Al contrario, la ricetta socialdemocratica della California, dove, invece, si pagano tasse altissime allo Stato, oltre a quelle Federali, ha prodotto un buco di 29 miliardi di dollari.
I singoli Stati americani hanno enormi poteri al loro interno e altrettanto enorme discrezionalità. Ciò consente ai cittadini americani la possibilità di scegliere tra varie opzioni spostandosi facilmente in diversi territori che però hanno al stessa lingua, cultura e moneta, a dimostrazione del successo della soluzione federalista
Al contrario il centralismo del sistema Italia non funziona, e dimostra ogni giorno la sua inefficienza e inefficacia.
Serve cambiare tutto, verso una nuova architettura istituzionale, nella direzione del federalismo che grazie all’autogoverno responsabile dei territori, li valorizzi nelle loro diversità, li metta a confronto in una competizione meritocratica e riduca l’intervento legislativo grazie alla democrazia diretta dei referendum propositivi dei cittadini su qualunque tema (modello svizzero): in Italia abbiamo 250mila leggi che soffocano l’iniziativa individuale contro una media UE di 5mila leggi.
La libera concorrenza produce beni e servizi migliori e più a buon mercato; avere molti fornitori in competizione tra loro è evidentemente molto meglio che non doversi sottomettere allo strapotere di un unico monopolista. Questo modello vale anche per la politica e le istituzioni: il federalismo mette in competizione tra loro differenti governi locali; i cittadini si possano facilmente spostare, per vivere e lavorare, in quelle aree che ritengono essere meglio gestite e che però, a differenza di paesi esteri, adottano la stessa lingua e le stesse tradizioni.
Le piccole dimensioni inducono al buon governo in quanto la possibilità di “votare con i piedi”, trasferendosi in una località con tasse più basse, meno burocrazia, priva il territorio della propria base imponibile. Questo induce i governi locali a “corteggiare” i residenti affinchè rimangano, offrendo loro condizioni più propizie allo sviluppo economico.
Le piccole dimensioni limitano la rendita parassitaria grazie alla maggior trasparenza e alla maggiore conoscibilità, da parte dei cittadini interessati, delle misure politiche adottate dai governanti, che non riescono a occultare tali informazioni.
È di fatto palese che quanto più ampie sono le dimensioni della ‘popolazione sfruttabile’ – cioè quanto maggiore è il numero di contribuenti chiamati a finanziare una data spesa – tanto minore sarà l’incentivo a controllare l’utilità sociale e l’economicità della spesa stessa. Al contrario, tanto più piccola è l’unità amministrativa e più omogenea la sua popolazione, quanto maggiore sarà la possibilità di contenere gli sperperi della democrazia; tra persone che si conoscono o che si sentono in relazione vi è infatti una tendenza minore a opprimere e derubare il prossimo.
Le comunità più piccole sviluppano una forte propensione alla conservazione delle proprie libertà, che si estende al controllo di eventuali nemici interni, ma anche di tutte le forme di parassitismo: la solidarietà pelosa, le finte pensioni, le finte povertà, gli arricchimenti illeciti sono il frutto di società grandi e private di ogni identità.
Il più facile controllo della spesa fa sì che le piccole strutture statuali abbiano anche costi minori. Gli apparati burocratici sono più ridotti, le strutture repressive sono quasi sempre inesistenti e quelle militari sono molto limitate. Tutto questo consente di avere pressioni fiscali piuttosto miti.
Non è infatti quasi mai vero che i grandi Stati possano diminuire il peso fiscale individuale spalmando i costi gestionali su un numero infinitamente superiore di contribuenti, perché le grandi strutture richiedono grandi e costosi apparati di controllo che costituiscono un volano di spesa spesso incontrollabile; perché le grandi strutture tendono ad aumentare le iniziative di autoaffermazione (sia al proprio interno che verso l’esterno) che hanno costi elevati; perché le grandi strutture sono inevitabilmente portate a invadere ogni spazio di attività: il centralismo politico scivola facilmente verso il centralismo economico e verso la tentazione del controllo totale delle risorse produttive, sia direttamente che indirettamente, tramite una pressione fiscale sempre più oppressiva.
Le piccole dimensioni promuovono la cooperazione e incentivano gli scambi.