di Carlo Lottieri
Il più che sorprendente risultato ottenuto da Javier Milei alle primarie argentine obbliga a qualche considerazione. È in effetti sorprendente che un candidato dichiaratamente libertario ottenga più del 30% dei voti, così da rendere tutt’altro che impossibile una sua elezione a presidente (nel prossimo ottobre). Se davvero egli riuscisse nell’impresa e se poi fosse in grado di tradurre in realtà anche solo una parte delle proposte che sta avanzando, i risultati potrebbero essere formidabili per l’Argentina, ma non solo per l’Argentina.
Se si prova a esaminare il modo in cui Milei si sta muovendo ci sono alcune note positive e altre meno. Cominciamo da ciò che convince.
Milei si definisce di principio anarcocapitalista e strategicamente minarchico. In altre parole, egli sposa la tesi di chi non trova alcuna legittimazione nel fatto che alcuni governino altri (è questa la prospettiva libertaria coerente), ma al tempo stesso sa bene questo risultato si può conseguire soltanto al termine di un processo. Egli punta quindi, in una prima fase, a ridimensionare sempre di più lo Stato argentino, smantellando ministeri, abbassando tasse e spesa pubblica, riducendo il numero dei dipendenti pubblici. L’ovvia scommessa è che questo favorisca un nuovo dinamismo della società latinoamericana e, di conseguenza, permetta ulteriori passi in favore della libertà.
Oltre a ciò, egli sta utilizzando un linguaggio che può talora ricordare i grillini. In effetti, la sua costante polemica è nei riguardi della “casta” (egli usa esattamente questo termine, che in Italia è stato reso tanto popolare dal volume di Rizzo e Stella): e ha ragione. In una società piagata da decenni di peronismo (un mix micidiale di socialismo e nazionalismo), egli punta il dito contro le élite corrotte: quanti da tempo immemorabile sfruttano l’apparato statale per ricavarne personalissimi benefici. Quella contro la casta, allora, è una retorica che un libertario ha il dovere di utilizzare se vuole raggiungere il cuore e la mente del pubblico.
Non è su questi temi che si possono avanzare riserve nei riguardi di Milei. Eppure ci sono questioni che egli non ha affrontato o ha affrontato molto male.
Com’è noto, l’Argentina è formalmente una federazione. Nei fatti non lo è: si tratta di uno Stato molto accentrato il cui bilancio pubblico è strutturato secondo le logiche della cosiddetta “finanza derivata” (le entrate tributarie affluiscono a Buenos Aires, che poi le ripartisce alle realtà locali secondo logiche centraliste). Un libertario dovrebbe valorizzare l’autogoverno locale e schierarsi con il diritto di ogni comunità a rendersi indipendente, ma questo è un tema del tutto assente dal programma di Milei. È pensabile però che il Paese si rimetta in piedi senza affrontare tale questione?
Per giunta, l’assenza della questione federale si ritrova anche su altri fronti. L’Argentina è molto legata – ovviamente – alla Spagna, per origini storiche e comunanza linguistica. La vita politica dei due Paesi, di conseguenza, conosce spesso una serie di intrecci. Quando ci si chiede a quali forze politiche Milei si senta più vicino all’interno del quadro spagnolo, è desolante rilevare che egli da tempo sostenga proprio Vox, ossia gli interpreti più fanatici ed estremisti della tradizione franchista. Per intenderci, la formazione di Santiago Abascal ha proposto la messa fuorilegge delle formazioni indipendentiste basche, catalane e delle altre comunità oggi spagnole che rivendicano il diritto a disporre del loro futuro.
Qualcuno potrebbe fare avere a Milei una traduzione in lingua spagnola di “Nations by Consent” di Murray Rothbard? Forse la conoscenza di questo breve scritto del 1994 potrebbe chiarirgli le idee in merito. In effetti, non si capisce come si possa conciliare l’ABC del libertarismo con il tardo-fascismo di Vox. Sarà bene che a questa dicotomia Milei trovi il modo di porre rimedio.
La stessa proposta della dollarizzazione lascia insoddisfatti, dato che quanto meno dovrebbe essere accompagnata da una piena libertà valutaria: dal riconoscimento del diritto a usare la moneta che si vuole e anche a creare nuove valute. Una dollarizzazione pura e semplice rischia di consegnare l’economia argentina nelle mani di quanti, alla Fed, decidono la politica monetaria. Senza essere libertario, El Salvador ha riconosciuto quale valuta a corso legale il bitcoin…
Per giunta, Milei non è l’espressione del movimento politico libertario, Libertad Avanza, perché egli è quello stesso movimento. Questo significa che il giorno in cui dovesse in un modo o nell’altro tradire i principi del libertarismo, non c’è nessuno all’interno della sua formazione che possa sfiduciarlo e prendere il suo posto. In un certo senso, Libertad Avanza non è libertaria, ma semmai è mileista. Il tipico liderismo sudamericano pare contraddistinguere anche questo movimento politico, sebbene un tale verticismo poco si concili con le tesi libertarie.
Soprattutto, però, vi sono altre possibili perplessità. L’analisi libertaria dello Stato moderno rende ben poco credibile la possibilità di una rivoluzione in senso liberale che muova dalle istituzioni rappresentative democratiche. È difficile credere che lo Stato sia riformabile. Per questo motivo anche molti simpatizzanti di Milei temono che pure nel caso in cui alla fine vinca le elezioni egli si trovi intrappolato in logiche – interne e internazionali – che potrebbe depotenziarlo in maniera significativa.
Il rischio, è che Milei susciti illusioni presto destinate a convertirsi in delusioni: causando pure discredito alla causa libertaria.
Nessuno può augurarsi che la sfida lanciata da Libertad Avanza fallisca. La speranza è che Milei sappia convertire il fallimento epocale dell’Argentina in una rinascita: che egli si metta alla testa di un contro-peronismo che rianimi la società, ridia fiducia a chi vuole lavorare, combatta il parassitismo, attiri capitali dall’estero, favorisca il rientro a casa propria di chi è stato costretto ad andarsene da decenni di politiche stataliste.
Gli ostacoli, però, saranno molti e non c’è nemmeno la certezza che si abbia le idee chiare su come affrontarli.
La comunicazione convulsa degli ultimi giorni di campagna elettorale non dà il quadro articolato del progetto di Milei. Intanto l’Argentina è già un paese dollarizzato. La gente già oggi per sopravvivere fa di conto in dollari convertendo e risparmiando quel che può tra mille tagliole statali.
PermalinkAscoltando interviste meno pressate dal voto si comprende come il fine della libera scelta della moneta sia il chiaro obbiettivo di fondo.
Milei ha grandi responsabilità rispetto al buon nome del libertarismo. Gli concedo una fiducia che sta nei limiti di come sarà possibile difendere le idee della libertà. Le regole per battere l’avverso socialismo non può darle lui.
Le persone da convincere, pur eventualmente votandolo per patente stato di necessità di cambiamento, è difficile che continuino a farlo per acquisita consapevolezza e familiarità con il portato dei grandi austriaci e filosofi della libertà.
Anche lui sa cio che sta dentro e ciò che sta fuori. Non possiamo che fidarci del suo giudizio sperando che in battaglia (sta rischiando di essere kennedizzato) macchi il meno possibile la camicia in albis della libertà. Poi vedremo di fare il bucato come si deve.
Per completezza, al punto 9 della sua descrizione del programma di Milei, Alberto Benegas, professore di Economia all’Università di Buenos Aires, parla di federalismo nei seguenti termini:
9- Nono, rivedere l’intero organigramma del governo al fine di ridurre la spesa pubblica per quei compiti che eccedono la missione specifica di una società aperta, nel modo in cui hanno insistito anche altri premi Nobel per l’economia come Milton Friedman, George Stigler e Gary Becker. In questa linea di argomentazione, facilitare l’attuazione di un autentico federalismo invertendo la compartecipazione in modo che ogni giurisdizione competa e il conseguente decentramento del potere a tutti i livelli.
Grazie a Leo Facco.
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