“Nessun popolo, così come nessun gruppo, può essere trattenuto contro la sua volontà in un’associazione politica che non vuole.”
(da Nation, State and Economy, 1919)
I liberali di una epoca precedente pensavano che tutti i popoli fossero, per natura, amanti della pace e che solo le monarchie desiderassero la guerra per accrescere il loro potere e ricchezza attraverso la conquista di territori. Essi credevano, perciò, che per assicurare una pace duratura fosse sufficiente sostituire il dominio dei principi dinastici con governi che dipendevano dal volere del popolo. Se una repubblica democratica scopre che i suoi attuali confini, come sono stati modellati nel corso della storia prima del passaggio al liberalismo, non corrispondono più ai desideri politici del popolo, essi devono essere modificati in maniera pacifica in conformità agli esiti di un referendum che esprima la volontà del popolo. Deve essere sempre possibile spostare i confini dello stato se gli abitanti di un’area esprimono chiaramente il volere di far parte di un’altro stato e non di quello a cui essi appartengono attualmente. Nel diciassettesimo e diciottesimo secolo, gli Zar della Russia incorporarono nel loro impero vaste aree territoriali la cui popolazione non ha mai sentito il bisogno di appartenere allo stato russo. Anche se l’Impero Russo avesse adottato una costituzione pienamente democratica, i desideri degli abitanti di questi territori non sarebbero stati esauditi perché essi semplicemente non volevano associarsi in una unione politica con i russi. La loro richiesta democratica era: libertà dall’Impero Russo; formazione di una Polonia, Finlandia, Latvia, Lituania, ecc. indipendenti. Il fatto che queste e simili richieste dalla parte di altri popoli (ad es. gli Italiani, i Tedeschi nello Schleswig-Holstein, gli Slavi nell’Impero Asburgico) potessero essere soddisfatte solo con il ricorso alle armi ha rappresentato la causa più importante di tutte le guerre che sono state combattute in Europa dai tempi del Congresso di Vienna.
Il diritto all’autodeterminazione per quanto riguarda il problema dell’essere membro di uno stato significa che in tutti i casi in cui gli abitanti di un particolare territorio, che si tratti di un singolo villaggio, di un intero distretto, o di una serie di distretti adiacenti l’un l’altro, fanno conoscere, attraverso un referendum condotto liberamente, che essi non vogliono più rimanere uniti allo stato a cui attualmente appartengono, ma desiderano o dar vita ad uno stato indipendente o unirsi a qualche altro stato, i loro desideri devono essere rispettati e attuati. Questo è l’unico modo fattibile ed efficace per prevenire rivoluzioni e guerre civili e tra nazioni.
Definire ciò il “diritto all’autodeterminazione delle nazioni” è confondere le cose. Non si tratta del diritto all’autodeterminazione di una delimitata unità nazionale, ma del diritto degli abitanti di ogni territorio di decidere a quale stato essi vogliono appartenere. La confusione è ancora più grave quando l’espressione “autodeterminazione delle nazioni” è ritenuta significare il fatto che uno stato nazionale ha il diritto di staccare ed incorporare a sé, contro la volontà dei suoi abitanti, parti della nazione che appartengono al territorio di un altro stato. È nei termini di autodeterminazione delle nazioni inteso in tal senso che i fascisti italiani cercano di giustificare la loro richiesta che il Canton Ticino e altre aree di altri Cantoni siano staccati dalla Svizzera e uniti all’Italia, anche se gli abitanti di tali Cantoni non hanno alcun desiderio che ciò avvenga. Una posizione simile è assunta da alcuni sostenitori del pan-germanismo in relazione alla Svizzera tedesca e all’Olanda. Tuttavia, il diritto all’autodeterminazione a cui facciamo riferimento non è il diritto di autodeterminazione delle nazioni, ma piuttosto il diritto di autodeterminazione degli abitanti di qualsiasi territorio grande abbastanza da formare una unità amministrativa indipendente. In tutti i casi in cui fosse possibile garantire questo diritto all’autodeterminazione ad ogni singolo individuo, ciò dovrebbe essere fatto. Questo è impraticabile solo per motivi tecnici, che rendono necessario il fatto che una regione sia governata come una singola unità amministrativa e che il diritto all’autodeterminazione sia ristretto al volere della maggioranza degli abitanti di aree abbastanza grandi da contare come unità territoriali nella amministrazione del paese.
Nella misura in cui il diritto all’autodeterminazione fu attuato pienamente, e in tutti i casi in cui fosse stato consentito realizzarsi, nel diciannovesimo e ventesimo secolo, esso ha condotto o avrebbe condotto alla formazione di stati composti da una sola nazionalità (ad es. popoli che parlavano la stessa lingua) e alla dissoluzione di stati composti da parecchie nazionalità, ma solo come conseguenza della libera scelta di coloro che avevano il diritto di partecipare al referendum. La formazione di stati che includevano tutti i membri di un gruppo nazionale era il risultato del diritto all’autodeterminazione, non la sua finalità. Se alcuni membri di una nazione si sentono più felici in quanto politicamente indipendenti che non come facenti parte di uno stato composto da tutti i membri dello stesso gruppo linguistico, si potrebbe, di certo, tentare di cambiare le loro idee politiche attraverso opera di convincimento al fine di guadagnarli al principio della nazionalità, secondo il quale tutti i membri dello stesso gruppo linguistico dovrebbero formare uno stato unico indipendente. Tuttavia, se uno cerca di determinare il loro destino politico contro la loro volontà appellandosi ad un diritto superiore della nazione, il diritto all’autodeterminazione risulta violato come se si stesse praticando una qualche forma di oppressione. Una divisione della Svizzera tra Germania, Francia e Italia, anche se attuata sulla base di precise frontiere linguistiche, sarebbe una grossa violazione del diritto all’autodeterminazione, come è stata la partizione della Polonia.
(da Liberalism, 1927)
Questo articolo è precedentemente apparso su Panarchy