Promosso dalla fondazione “Il Giglio”, che da moltissimi anni svolge a Napoli un’importante opera di valorizzazione dell’identità del Mezzogiorno italiano, si è tenuto un dibattito on line sul tema “Sud-Nord di fronte allo Stato centralista. Idee a confronto” (lo si può ascoltare in Youtube): una discussione a cui hanno preso parte la professoressa Carmela Maria Spadaro, il professor Gennaro De Crescenzo e pure il sottoscritto, chiamato a interpretare un punto di vista “settentrionale”.
In maniera assai libera e informale, il dialogo ha toccato molti temi: muovendo dal passato per arrivare al presente. E una serie di convergenze si sono riconosciute con facilità, soprattutto in riferimento ai limiti di un’unificazione imposta manu militari dall’esercito sabaudo, entro logiche illiberali e nazionalistiche.
Da storica assai attenta alla specificità della vicenda meridionale (quale specialista dei secoli XVII e XVIII), la professoressa Spadaro ha soprattutto enfatizzato le molte peculiarità di una società – quella del Sud italiano – che la “piemontesizzazione” conseguente alla conquista regia non ha compreso, stimolato, valorizzato. Entro un ordine più subito che scelto, il Mezzogiorno si è trovato a operare facendo i conti con istituzioni estranee, imposte dall’alto, che fatalmente hanno generato tutta una serie di distorsioni.
In modo diverso e con distinte accentuazioni, ogni intervento ha in qualche modo avvertito l’esigenza di rivalorizzare i tanti colori delle comunità incluse all’interno della Repubblica: un mosaico di culture che l’unificazione ha in vario modo mortificato.
Accanto a ciò, senza dubbio, è stato pure facile riconoscere una certa distanza in merito a questioni cruciali, specie quando la riflessione si è focalizzata sull’oggi. Soprattutto quando mi sono sentito in dovere di difendere il diritto di chiunque – e quindi anche delle popolazioni del Nord – a decidere in merito al proprio futuro e a disporre delle proprie risorse (contestando la propaganda populista che usato la formula della “secessione dei ricchi”) mi è stato detto che, almeno in parte, una certa reazione dell’intellighenzia del Sud può essere compresa come un’autodifesa di fronte a uno Stato che fa gli interessi del Nord a danno delle popolazioni del Sud.
Sulla questione, è chiaro, il confronto dovrà continuare e ci vorranno altri incontri come questo affinché sia possibile dialogare meglio: non tanto e non solo per usare dati attendibili e quindi considerare la realtà per quella che è, ma anche e soprattutto per capire che in fondo – quale che sia il conto del dare e dell’avere – la responsabilizzazione di ogni comunità è davvero nell’interesse di tutti. La formula “padroni a casa propria” dovrebbe essere accolta favorevolmente a ogni latitudine, dato che le libertà locali dell’autogoverno sono la condizione di una migliore tutela della libertà dei singoli e, oltre a ciò, di una forte valorizzazione di ogni potenzialità.
È certamente è vero che in talune fasi storiche (si pensi al protezionismo di secondo Ottocento) gli interessi di alcuni gruppi industriali del Nord hanno imposto barriere doganali che hanno danneggiato l’economia meridionale e hanno causato una massiccia emigrazione verso le Americhe. Riconosciuto questo (perché i fatti sono fatti), non si può neppure contestare che oggi vi sia una redistribuzione delle risorse che toglie al Nord per dare al Sud, danneggiando tanto l’economia settentrionale (che è privata delle proprie risorse) quanto quella meridionale (che è dominata da logiche politiche e burocratiche). E anche questi sono fatti che vanno riconosciuti.
Nel suo intervento il professor De Crescenzo ha riesumato – citando Paolo Savona, ma avrebbe potuto anche ricordare Linda Lanzillotta (su quest’ultima, con la consueta ironia, aveva scritto un pezzo assai brillante Marco Bassani) – la tesi secondo cui il Nord manderebbe al Sud alcune decine di miliardi di euro, ma al tempo stesso si avvantaggerebbe del fatto che nel Mezzogiorno si consumano molti beni prodotti al Nord. Di conseguenza, i conti sarebbero sostanzialmente alla pari.
Se con questo argomento s’intende giustificare lo status quo e la redistribuzione territoriale, però, si è un po’ fuori strada. Una cosa è ricevere risorse (quando uno dà e l’altro ottiene) e assai differente cosa è invece scambiare beni e servizi. Quando due soggetti realizzano una transazione, entrambi – nella loro soggettività – migliorano la loro condizione. Per capirci, io non sono il generoso benefattore del giornalaio che ogni mattina mi vende il quotidiano, perché se lo compro è soltanto perché ritengo preferibile avere quel giornale al posto dell’euro e mezzo a cui rinuncio.
Sono temi su cui bisognerà tornare: con rispetto e con franchezza, avendo chiara l’esigenza che ciò che è vero e giusto non deve offendere nessuno. E che, nel caso specifico dell’Italia odierna, il superamento dei meccanismi redistributivi non è a beneficio di qualcuno e a danno di altri. Tutte le realtà della penisola avrebbe molto da guadagnare dalla fine di questo strano comunismo territoriale secondo il quale tutto sarebbe “nazionalizzato”, così che a Roma a cui spetterebbe il compito di assegnare risorse ad libitum, favorendo questi e quelli.
Per giunta, come ha bene evidenziato la professoressa Spadaro l’intera Italia rischia ora di diventare, dinanzi all’Unione europea, un vasto Mezzogiorno assistito: non accettato nelle sue caratteristiche culturali, non riconosciuto nelle proprie peculiarità, destinato a essere “aiutato” così che possa essere “modificato” secondo un modello astratto ed estraneo.
La (difficile) scommessa di Nuova Costituente non nasce in questa o quella parte della Repubblica con l’obiettivo di favorire alcuni a scapito di altri. L’obiettivo è liberare tutte le comunità al tempo stesso: consegnando loro la libertà (e la responsabilità) di decidere in materia di identità e cultura, ma anche e soprattutto dando loro la possibilità di trovare una propria forma di sviluppo, crescita, piena realizzazione delle proprie potenzialità. Per essere seri non potremo ignorare la grande questione del soldo.
Devo pure confessare che mi ha fatto un poco sorridere, nel contesto di quel confronto, essere chiamato a interpretare una parte – quella del Nord – contro un’altra – quella del Sud. Sono nato a Brescia, ho studiato a Genova e ora vivo a Venezia, ma confesso di sentirmi a casa ovunque. Non sto negando quello che sono (perché immagino di portare con me molto delle esperienze che ho vissuto e delle latitudini in cui mi sono trovato a vivere, prima bambino e poi da adulto), ma credo al tempo stesso che, come molti altri, io cerchi soprattutto – magari sbagliando – quello che è giusto in sé, né credo che necessariamente la contrapposizione sia positiva, utile, corretta.
In un mio libretto che sta per uscire per le edizioni Liberilibri (in cui ampio spazio è riservato proprio al progetto di una nuova costituente) mi sono sforzato di sottolineare come tutte le realtà che compongono la penisola abbiano bisogno di libertà e autogoverno, di tassarsi da sé e spendere in loco le risorse ottenute, di competere tra loro sapendo sfruttare i propri punti di forza (e ogni realtà ne ha).
Questo incontro – di cui sono personalmente molto grato a chi vi ha partecipato e a chi l’ha organizzato – è stato un inizio. Penso che abbia lasciato intendere che resta molto lavoro da fare, soprattutto per superare alcune incomprensioni. C’è anche bisogno, senza dubbio, di annullare le distanze “fisiche”, perché è evidente che la prossima volta bisognerà poter stringersi la mano, dal momento che una certa empatia emerge anche dalla presenza fisica… Quando si ragiona su certe cose è importante poter guardarsi negli occhi.
Mi pare, però, che questo sia stato un inizio promettente. Come ha sottolineato il professor De Crescenzo, vi sono tante analogie nella storia subita dalle popolazioni italiche (un suo riferimento, giustamente, è stato ai plebisciti fasulli che hanno preteso di legittimare annessioni imposte dalle baionette). Ora è necessario – con concretezza, con sapienza, con serietà – ragionare su ciò che è giusto e su ciò di cui tutti hanno bisogno. A questo primo passo ne seguiranno altri. Stay tuned.
PS L’immagine è di Joan Miró, grande artista catalano.