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Perché Draghi non è la soluzione

23 Agosto 2020 Aurelio Mustaccioli - Lombardia Attualità

Non si può non commentare il discorso di Draghi al convegno di Rimini.

Draghi è infatti per predestinazione legato al futuro del nostro paese. Paragonato a Conte, burocrate per caso, Draghi incarna la figura più alta e più credibile di burocrate di stato. Ha il phisique du role, l’autorevolezza internazionale, il curriculum e il riconoscimento professionale e accademico per convincere gli italiani sulle ricette economica necessarie a salvare il paese. E il discorso di Rimini sembra il discorso di insediamento di un leader politico che sa cosa deve essere fatto e che al tempo stesso vuole essere guida morale per un popolo.

Purtroppo Draghi è un banchiere centrale e un economista di scuola keynesiana, la più alta e deleteria forma di burocrate statalista, un personaggio che è parte del problema, non della soluzione.

Per un martello tutta la realtà è formata da chiodi, per un banchiere centrale tutti i problemi si risolvono stampando moneta, con il debito “buono” ovviamente orchestrato da una regia centrale che lo vede protagonista.

Stona pertanto e fa paura Draghi quando afferma che “il debito creato con la pandemia è senza precedenti e dovrà essere ripagato principalmente da coloro che sono oggi i giovani. È nostro dovere far sì che abbiano tutti gli strumenti per farlo pur vivendo in società migliori delle nostre. Per anni una forma di egoismo collettivo ha indotto i governi a distrarre capacità umane e altre risorse in favore di obiettivi con più certo e immediato ritorno politico: ciò non è più accettabile oggi. Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza.”

Stona e fa paura perché le politiche monetarie delle banche centrali, quelle che dovrebbero consentire il debito buono, sono quelle che hanno alimentato l’egoismo collettivo che si è tradotto in debito cattivo e conseguente espansione statale e privazione del futuro ai giovani.

La verità è che il debito può essere buono solo se chi lo contrae è lo stesso che lo ripaga e il debito pubblico non soddisfa mai questa condizione. Viene contratto dai governi e ripagato dalle future generazioni. Quindi fare debito e mettere i giovani nella condizione di ripagarlo è come rubare dal salvadanaio dei propri figli, vuol dire creare quella disuguaglianza generazionale che si dice di voler abbattere. Questo non vuoi dire avere a cuore i giovani, vuol dire fotterli e chiedere loro di cantare e portare la croce.

Sono convinto che per fermare la degenerazione della nostra democrazia sia necessario un impegno etico e quella speranza per il futuro di cui parla Draghi, ma questo richiede che i giovani possano diventare artefici del loro destino. Affinché ciò accada tutti noi, e i giovani in particolare, dobbiamo interiorizzare un’etica della libertà, acquisire consapevolezza economica (non keynesiana) e impegnarci per influire politicamente senza affidarsi a cattivi maestri.

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