Nato a Palermo nel 1875 e presidente del Consiglio di Stato dal primo gennaio del 1929, Santi Romano è stato uno dei più grandi giuristi della storia. La fondamentale lezione che ci ha consegnato è relativa alla pluralità degli ordinamenti giuridici. Santi Romano sottolinea che la concezione alternativa a quella della pluralità degli ordinamenti – quella, cioè, che vede un unico ordinamento, quello statale, che assorbe in sé ogni elemento ed accorda dunque allo Stato una posizione di supremazia assoluta – attribuisce, di fatto, allo Stato il ruolo di Dio, a cui Dio stesso si è sottratto (“… della dottrina che riferisce l’ordinamento giuridico ad una sola volontà, quella dello Stato, affermando che essa deriva da un bisogno mentale simile a quello che conduce a Dio: l’analogia fra il microcosmo giuridico e il macrocosmo dell’ordinamento dell’universo imporrebbe questa personificazione, che rende possibile la concezione di una volontà unica in un sistema armonico”).
Nella concezione di Santi Romano, l’unicità dell’ordinamento prende dunque forma per soddisfare quell’ancestrale ed infantile bisogno mentale di essere sudditi di un dominus che sia perfetto, onnisciente e onnipotente.
Nella visione dello studioso siciliano, invece, l’ordinamento è un’Istituzione, un’atmosfera, un’organizzazione, e non una somma di rapporti, non una somma di norme, di obblighi e divieti.
Se Gesù Cristo simboleggia la morte del Dio estraneo, autoritario e giudicante, dei comandamenti dell’Antico Testamento e il riconoscimento, in capo a ciascuna persona, della libertà e della responsabilità del proprio destino, ebbene Santi Romano fornisce le chiavi di lettura per tradurre giuridicamente la morte di quel Dio, riferendola a un’altra entità, quella, tutta terrena, dello Stato, almeno nella parte in cui tale entità finisce con il millantare l’attitudine a soddisfare il bambinesco anelito di irresponsabilità che Dio stesso ha negato agli uomini adulti.
Se, parafrasando Nietzsche, duemila anni fa l’umanità celebrò la morte di Dio, ebbene con il suo libro L’ordinamento giuridico nel 1917 Romano celebrava la morte del nuovo simil-Dio, lo Stato, riclassificando tale entità giuridica e attribuendovi una più definita e corretta qualificazione. Nell’analisi di Romano è ordinamento l’azienda, è ordinamento la famiglia, è ordinamento il comune e ciascuno di tali ordinamenti ha le sue ragioni, le sue caratteristiche, la sua configurazione, la sua societas, i suoi schemi, la sua autonomia. Se l’architettura è quella della pluralità degli ordinamenti, la legge cede il passo al diritto e le comunità escono dal sommerso in cui lo Stato panteista le ha relegate.
L’ordinamento sportivo, come noto, è uno dei più chiari esempi di questa autonomia ed è uno dei più chiari esempi della pluralità degli ordinamenti. Se il difensore sgambetta l’attaccante, nessuno pensa di chiamare il magistrato, né di segnalare alla Procura. Il diritto vive, si forma e si esprime compiutamente sul campo di gioco; non solo lo sport, ma il diritto stesso morirebbe se lo sgambetto del difensore dovesse essere valutato in un contenzioso – primo grado, appello e Cassazione – gestito dallo Stato e se la societas dei giocatori non fosse autonomamente capace di regolare la vicenda.
La struttura della pluralità degli ordinamenti descritta da Romano, dunque, non nega, né mette in crisi, lo Stato in quanto tale, perché semplicemente si limita a riclassificare tale entità, ponendola in una relazione diversa – e, si direbbe, più appropriata – col diritto e con i diversi, autonomi ordinamenti.
Con la pluralità degli ordinamenti non è né Dio né lo Stato, dunque, a dissolversi, perché a dissolversi è quella posizione di vertice di cui l’uomo-bambino ha bisogno e che qualcuno o qualcosa è sempre pronto ad occupare. Quello che Romano e la pluralità degli ordinamenti non consente è dunque il prevalere dell’infantilismo, l’istituzionalizzazione, cioè, di quella visione irresponsabile della vita che trova la soluzione a tutti i problemi del mondo in un mitico “altrove”, che una volta si traduceva nel Dio dell’Antico Testamento e che, con la Rivoluzione francese e nel modello napoleonico di Stato (a cui l’Italia di Cavour si ispirò), si è tradotta in una certa visione di Stato.
Se persiste l’io giudicante; se continua a prevalere, nel disegno dell’architettura istituzionale, l’ipotesi che possa esistere in terra un’entità perfetta a cui riconoscere una superiorità totale, da porre pertanto in un punto assoluto di vertice (che si chiami Dio, o Stato, oppure Unione Europea); se non scatta la disponibilità a rispettare senza comprendere: ebbene, la pluralità degli ordinamenti e la sussidiarietà faticheranno ad affermarsi come realtà vivente, in quanto alla domanda di un comodissimo ordine estraneo, imposto dall’alto e fatto di precetti a cui obbedire, la pluralità degli ordinamenti e la sussidiarietà rispondono con una esortazione alla libertà responsabile. Una esortazione che l’io bambino trova sgradevolissima e perciò respinge indignato, ma che l’io adulto accoglie invece come unica risposta possibile a tutte le proprie domande.