di Marco Bassani (17 gennaio 2019)
Sono convinto che se sorteggiassimo i quasi mille fra parlamentari e membri di governo e sottogoverno fra tutti gli abitanti – compresi migranti appena arrivati, neonati, vinattieri e novantenni – non vi sarebbe alcun mutamento politico significativo.
Tuttavia, sono anche certo che se sorteggiassimo pure i dirigenti delle prime 10.000 imprese produttrici di ricchezza dalle Alpi al Po non cambierebbe assolutamente nulla dal punto di vista economico e sociale.
Il problema non è dato dalla classe politica o “dirigente” e neppure dalla popolazione – bassa scolarità certo, ma quoziente intellettivo fra i più alti al mondo.
È l’unità politica la vera iattura dell’Italia. È questo mito, questo tentativo impossibile di imporre a Barletta regole bizantine romane sognate nelle caserme savoiarde ciò che ha creato, da oltre un secolo e mezzo, il più grande fallimento politico della storia europea.
La grandezza storica e culturale di Firenze, Venezia, Milano, Napoli, Palermo non è neanche lontanamente paragonabile alla macchiettistica realtà post-unitaria. Qualunque progresso materiale, morale e civile dal 1861 è stato un riflesso di ciò che accadeva nel mondo ed è avvenuto nonostante l’unità politica e non grazie ad essa.
Questa statolatria senza limiti che sta stritolando le popolazioni italiche è il chiaro contraccolpo del fallimento di qualunque costruzione nazionale. Definitivamente naufragato un progetto folle e criminale – “fare gli italiani” – l’unica ancora di salvataggio sta ormai nel proiettare tutte le proprie speranze in uno Stato che finge di proteggere gli individui, ma che in realtà fomenta una guerra di tutti contro tutti. In breve, quello staterello fragile e ultracentralizzato nato dal Risorgimento doveva prima forgiare una Nazione, poi salvare il proletariato dai guasti del capitalismo, ma ormai rappresenta solo se stesso, ossia una statualità sconfinata e metafisica come il sorriso nella canzone di Battisti, “che non ha né piú un volto né più un’età”. È solo un’enorme cancrena parassitaria che ostruisce ogni possibilità scambiare liberamente e progettare le proprie vite.
Storicamente, lo Stato crea la nazione per spostare l’oggetto della devozione popolare e costruire un corpo mistico capace di sostituire quello fisico del sovrano. In Italia, dato che ad impossibilia nemo tenetur, è diventato lo Stato stesso (l’idea di Stato, non la concretezza della classe politica) oggetto di culto e di devozione. Uno Stato che riassume tutto lo Stato possibile perché non ha nessuna comunità di riferimento, ma solo individui alla ricerca della mammella giusta a cui attaccarsi.
Presto tutto ciò cadrà nel più stupido dei rimpianti – travolto dalla “natura delle cose” – ma prima mieterà ancora ricchezza, seminando povertà, distruggerà libertà reclamando brandelli di esistenza in un ultimo battito d’ali confuso.